Fate attenzione alla cifra che chiedete alla banca con il mutuo: quando l’importo supera una certa soglia scattano i controlli dell’Agenzia delle Entrate.
L’accensione di un mutuo è una pratica necessaria per l’acquisto di un immobile e quando si riesce ad ottenere il finanziamento si può legittimamente esultare per aver raggiunto un traguardo non sempre ottenibile. Tantissime persone che si trovano in condizioni lavorative non stabili, infatti, faticano ad ottenere un finanziamento poiché risultano pagatori non affidabili.
In questi anni sono state varate diverse misure per agevolare l’ottenimento del mutuo, tra cui il Bonus Prima Casa rivolto agli under 36 che prevede lo Stato come garante e agevola molto la pratica. Tuttavia bisogna fare attenzione alla somma che si chiede e valutare bene il piano di pagamento prima di procedere.
C’è un caso in cui l’Agenzia delle Entrate può avviare un accertamento se il prezzo di vendita dell’immobile differisce dalla somma richiesta con il mutuo. In questo caso potrebbe anche essere necessario pagare un importo maggiore di tasse, di certo non una notizia positiva. Ma cerchiamo di capire nel dettaglio per quale motivo scatta l’accertamento e perché questa differenza potrebbe generare plusvalenza.
Mutuo casa: se la cifra differisce dal prezzo di vendita si attiva l’Agenzia delle Entrate
Partiamo dalla base e dunque dal fatto che il Fisco offre la possibilità alla persona fisica e alle società di auto dichiarare quanto guadagnato e dunque versare autonomamente il dovuto. Finché non ci sono motivi di sospettare che è stato dichiarato il falso tutto va bene, in più i metodi tracciabili obbligatori che ci sono adesso rendono più complesso dichiarare il falso.
Ecco dunque che dichiarare un prezzo di vendita dell’immobile inferiore al mutuo richiesto dal compratore può attirare l’attenzione dell’Agenzia delle Entrate. In realtà non è così raro che il richiedente possa volere una cifra superiore a quella del costo di acquisto della casa, poiché la cifra eccedente potrebbe servire ad effettuare lavori di ristrutturazione o semplicemente per lavori di design o l’acquisto del mobilio.
Nulla di strano, almeno finché la società che si occupa della vendita dell’immobile non dichiara in più occasioni prezzi di vendita inferiori a quelli di listino e all’ammontare dei mutui richiesti per l’acquisto. Il dubbio del Fisco è che la società in questione possa dichiarare un prezzo inferiore per pagare meno tasse e ottenere una plusvalenza, dunque fa partire in automatico un accertamento induttivo.
A tal proposito, con la sentenza 25854 del 27/09/24 la Corte di Cassazione ha sentenziato che l’Agenzia delle Entrate ha tutto il diritto di fare partire un accertamento in casi come questo. Tutto nasce dal controllo dell’anno d’imposta 2005 di una società immobiliare in cui c’erano diversi costi inferiori all’ammontare dei mutui richiesti dai compratori.
La società ha impugnato al tribunale Tributario l’atto impositivo dell’AdE che richiedeva il saldo delle imposte mancanti dedotte dal confronto tra la dichiarazione dei redditi e la stima del valore degli immobili venduti. In primo grado il ricorso è stato respinto, mentre in secondo grado accolto. La Cassazione ha poi ribaltato la sentenza del tribunale di secondo grado dando ragione al primo giudice e creando un precedente giuridico che consente al Fisco di agire in tal guisa quando si presentano situazioni simili.