Brutte sorprese per chi andrà in pensione nel 2025: forti penalizzazioni a causa del sistema contributivo. Vediamo cosa succederà.
Il mondo delle pensioni ha subito due svolte importantissime fino ad oggi: la prima è avvenuta nel 1996 e la seconda nel 2011- Nel 2011, come tutti ben sappiamo, è entrata in vigore la legge Fornero che ha portato l’età pensionabile a 67 anni. Dunque, al momento, per accedere alla pensione di vecchiaia è necessario avere almeno 67 anni di età e almeno 20 anni di contributi.
Ma nel 1996 c’è stata la riforma Dini che ha segnato un cambiamento ancora più importante: è cambiato il sistema con cui vengono calcolate le pensioni. Fino al 1995, infatti, gli assegni previdenziali venivano calcolati con il sistema retributivo il quale teneva conto della media degli ultimi stipendi ricevuti dal lavoratore.
Dal 1996 in avanti, invece, le pensioni vengono calcolate con il sistema contributivo che tiene conto unicamente dei contributi versati nell’arco dell’intera carriera. Chi ha contributi sia prima che dopo il 1996 rientra nel sistema misto mentre chi ha solo contributi dal 1996 in avanti è un “contributivo puro”. Il sistema contributivo puro presenta vantaggi e svantaggi ma, sicuramente, in termini di importo della pensione è più penalizzante rispetto al sistema retributivo e al sistema misto.
Sistema contributivo: ecco perché è svantaggioso
Chi andrà in pensione nel 2025 avrà una pensione calcolata, nel migliore dei casi, con il sistema misto e, nel peggiore dei casi, con il sistema contributivo. Quest’ultimo può comportare perdite significative.
In particolare dovranno accettare il ricalcolo contributivo degli assegni coloro che opteranno per misure come Quota 103 e Opzione donna. Il sistema contributivo basandosi unicamente sui contributi versati e non tenendo conto degli stipendi può portare a tagli anche del 30% dell’assegno Inps.
Ma questo non è l’unico svantaggio. Infatti, per calcolare l’importo della pensione, il montante contributivo – cioè il totale dei contributi versati – viene moltiplicato per un coefficiente di trasformazione che aumenta con l’aumentare dell’età anagrafica del lavoratore. Pertanto chi andrà in pensione, poniamo, a 61-62 anni avrà un coefficiente di trasformazione più basso di chi lascerà il lavoro a 67 anni e, dunque, la sua pensione sarà più bassa.
Non è ancora finita: chi non ha contributi antecedenti al 1996, cioè i “lavoratori contributivi puri”, sono svantaggiati anche da un altro punto di vista. Infatti per accedere alla pensione di vecchiaia non solo devono aver raggiunto 67 anni di età e 20 anni di contributi ma devono anche aver maturato un assegno previdenziale pari o superiore all’importo dell’assegno sociale. Diversamente dovranno continuare a lavorare.
Di contro, però, c’è una bella notizia: una volta arrivati all’età di 71 anni, i contributivi puri, possono smettere di lavorare e accedere alla pensione anche con appena 5 anni di contributi. Cosa che, invece, non possono fare coloro che hanno iniziato a versare i contributi prima del 1996.